Nel 1938, in piena crisi economica americana, tre erano gli argomenti che animavano quotidianamente  le discussioni: il Presidente Franklin Delano Roosevelt, Adolf Hitler ed un cavallo purosangue squadrato,  dalle gambe tozze e con ginocchia enormi montato da un fantino cieco da un occhio. Si chiamava Seabiscuit ed era nato il 23 maggio 1933 a Lexington.  Ha rappresentato  l’orgoglio e la combattività di un popolo  oppresso  dalla povertà e dalla disoccupazione.

Seabiscuit, alto appena 1,52 m., non mostrò subito alcuna vocazione da campione pur essendo nato da una giumenta e da uno stallone dalle carriere illustri. Tra i suoi difetti  vi era  anche un’andatura atipica e scomposta definita dai più “ andatura a sbattiuova”. Trascorreva le giornate a mangiare e a dormire per periodi  troppo  lunghi. Il suo primo addestratore, famoso per avere vinto diverse competizioni con un altro cavallo, si rese subito conto che  era molto pigro e refrattario ad ogni tipo di addestramento. Contrariamente alle proprie abitudini, aveva provato a  passare  dalle maniere dolci a quelle  forti ed alla frusta, ma, alla fine, dovette arrendersi e constatare, con grave disappunto, che le frustate lo avevano reso nervoso ed intrattabile. Volle quindi impiegarlo in gare meno impegnative, ma senza alcun risultato positivo  perché Seabiscuit perse dieci gare  su dieci. Decisero  così di metterlo al pascolo.  Dopo qualche anno si volle riprovare  la via delle competizioni, ma i risultati continuarono ad essere deludenti. Il proprietario decise quindi di venderlo per 8.000 dollari a Charles Howard, un imprenditore automobilistico  che,  in seguito alla morte del figlio, Frank, ed alla separazione dalla moglie, aveva abbandonato  il commercio delle auto  rimanendo  affascinato  dal mondo dell’equitazione.

                                                                                                                                     Howard  ne affidò la preparazione  a Tom Smith, noto addestratore di poche parole, che aveva dimostrato una grande dimestichezza con i cavalli. Smith dichiarò ad un giornalista che Seabiscuit, al loro primo incontro, gli aveva fatto  un cenno con la testa a cui egli aveva risposto  “ci rivedremo!”. Nel box a lui  riservato, per rabbonirlo,   fece mettere un altro cavallo, un cagnolino bianco ed una scimmietta. Ordinò di non fare rumori o disturbarlo durante il sonno,  anche se lungo. Occorreva  trovare un fantino in grado di montare un cavallo così irascibile e scorbutico.  Molti  rinunciarono addirittura  a provare  per paura  di essere disarcionati. Fu quindi ingaggiato un ragazzo irlandese  dai trascorsi burrascosi di nome Red Pollard, soprannominato “il folletto”, che, fino a quel momento, aveva sbarcato il lunario dedicandosi alla  boxe. Al suo primo incontro con Seabiscuit gli offrì una zolletta di zucchero che il cavallo sembrò apprezzare facendosi accarezzare; privilegio questo negato a tutti gli altri. Nacque così tra i due un rapporto di reciproca fiducia destinato a durare  fino alla fine.

L’inizio non fu di certo incoraggiante ed una sconfitta  di Seabiscuit, quella subita al  Santa Anita,   era sembrata  inspiegabile, ma poco dopo se ne  seppe il motivo. Il cavallo, dopo uno scatto iniziale fulminante,  si trovava in testa alla gara quando Pollard, in prossimità del traguardo,  lo fece rallentare. La corsa fu vinta, sia pure per pochi centimetri, da Rosemont. I giornali si accanirono contro Howard e Smith, proprietario ed addestratore, per i metodi poco ortodossi usati, secondo loro,  con il cavallo. Pollard, però, fece sapere  che aveva rallentato l’andatura di Seabiscuit, in prossimità del traguardo, perché non si era accorto che Rosemont stava rimontando alla sua destra, essendo del tutto cieco da quell’occhio a causa di un incidente occorsogli  durante  un match di pugilato. Nessuno sapeva della sua cecità perché  lui lo aveva  tenuto nascosto, per paura di non trovare lavoro.

Da quel momento  Seabiscuit fu inarrestabile; vinse  tantissime gare e la sua popolarità  aumentò  fino a farlo apparire come una vera e propria “star”. Gli americani  videro  in quel  goffo animale l’inizio della loro  rinascita economica, dopo anni di sacrifici e povertà. Le sue esibizioni venivano seguite dalla gran parte della popolazione in diretta ovvero attraverso la radio ed i giornali.

Nel 1938 le  numerose  vittorie di Seabiscuit continuarono ad infiammare gli animi degli americani orgogliosi di mostrare al mondo intero la potenza del loro cavallo e la sua voglia di vincere. In  breve  Howard riuscì a recuperare  il denaro  speso per l’acquisto. Tra il 1937 ed il 1938 si cercò di organizzare una corsa tra Seabiscuit e War Admiral, (figlio del famosissimo Man O’War che era anche il nonno di Seabiscuit), il cavallo campione della costa orientale americana, ma il suo proprietario, Samuel Riddle, non aveva alcuna intenzione di accettare la sfida perché considerava Seabiscuit un ronzino. Dopo lunghe ed   accese polemiche il duello tra i due galoppatori fu organizzato e fissato per il mese di novembre del 1938. La manifestazione fu subito considerata da tutti come il duello del secolo. Si disse che le tribune fossero così piene da impedire allo speaker di raggiungere la postazione radiofonica obbligandolo a fare la radiocronaca dal bordo della pista con un microfono improvvisato. La corsa fu seguita da 40.000 spettatori e da 40 milioni di radioascoltatori. Intanto Pollard aveva subito un grave incidente per cui era stato sostituito da  George Woolf. Questi, la sera prima della gara,  si era recato da Pollard per chiedergli  come comportarsi durante la corsa ed si sentì suggerire di non lanciare Seabiscuit al massimo della sua potenzialità, ma di farsi raggiungere ed affiancare da War Admiral rallentando gradualmente la velocità. Secondo Pollard, Seabiscuit “ non sopportava di arrivare secondo” per cui, non appena si fosse accorto di avere al fianco l’altro contendente, si sarebbe scatenato ed avrebbe vinto. E così fu. Seabiscuit giunse per primo al traguardo con 4 lunghezze di vantaggio ed entrò nella leggenda. Aveva vinto e con lui tutta l’America che, qualche anno dopo, superò il doloroso periodo della depressione economica e finanziaria. Nel 1938 Seabiscuit venne nominato cavallo dell’anno.

Dopo quella sfida,  nel corso di un’altra gara, ebbe un cedimento alla zampa anteriore sinistra ed  il veterinario stabilì che fosse messo al pascolo considerando definitivamente chiusa la sua carriera agonistica. Il 2 marzo 1940 Pollard, rimessosi, sia pure solo in parte, dal  grave incidente, decise di partecipare con Seabiscuit , che era stato adeguatamente curato, alla celebre gara del Santa Anita Handicap che prevedeva un premio di 121.000 dollari. Ancora una volta Seabiscuit vinse la corsa di una lunghezza e mezza alla presenza di 78.000 paganti. Il 10 aprile  dello stesso anno  fu ritirato definitivamente dalla corse e mandato in pensione  al Ridgewood Ranch vicino a Willits,  in California. Grandi furono lo sconforto ed il dispiacere  del popolo americano, dei giornalisti e degli appartenenti al mondo equestre. 

Si spense il 17 maggio 1947, forse per un attacco cardiaco, tra il pianto accorato di milioni di americani che avevano perso per sempre l’emblema della loro rinascita! Seabiscuit non c’era più! Era finita l’era del “Biscottino”!  Una statua commemorativa dalle dimensioni naturali  fu posta al Santa Anita Park, in California, ed un’altra all’ingresso del Ridgewood Ranch nel quale il cavallo aveva  trascorso i suoi ultimi anni. Una copia di queste statue, sempre a grandezza naturale, è esposta al National Museum di New York e sulla targa di presentazione è scritto: “ Per il suo coraggio, la sua onestà e le sue prodezze Seabiscuit trova definitivamente posto tra i purosangue immortali, sul manto erboso della storia. Fra le sue qualità, un’intelligenza e un intuito quasi divini”.

In suo onore  è stato emesso un francobollo commemorativo del suo duello  contro War Admiral. Sono stati  girati  tre film e diversi cartoni animati. Il nome di Seabiscuit è citato in tantissime pellicole. Ha insegnato all’umanità che niente è impossibile e che un cavallo può dare tanto di sé anche se presenta  qualche difetto.

a cura di Aurelio Lulj

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